“Esposizione di veri corpi umani e parti anatomiche conservate con la tecnica della plastinazione, la quale consente di mantenerne intatti i tessuti ed osservarne i particolari”.
Si tratta della descrizione della “Real Bodies Experience”, una mostra nata in Australia e approdata pochi anni fa anche in Italia, che ha suscitato non poco scalpore.
“Mostra” è proprio l’epiteto con il quale più spesso vi si riferisce: assimilabile alle ormai ben più ancestrali mostre di dipinti o sculture, in questo caso si paga per osservare come noi siamo fatti all’interno, con una precisione ed un’accuratezza che solo il nostro stesso corpo è in grado di fornirci.
Ovviamente una tale novità è stata oggetto di grande discussione: cosa significa per un essere umano vedere un simile spettacolo?
Il corpo umano viene trattato come un letterale “pezzo di carne da macello”, esposto in una teca e posto nelle più disparate posizioni, talvolta anche provocatorie, per un fine che rivela un forte interesse commerciale che esula da quello meramente scientifico-didattico, oltre ad una strumentalizzazione di noi stessi che svilisce tutto ciò che siamo al di fuori della mera materialità e corporeità.
La nostra attrazione per una mostra tanto macabra riflette la profonda perdita del valore della morte che caratterizza la nostra società, e che ci permette di restare indifferenti di fronte all’annichilimento di qualsiasi valore attribuibile al nostro corpo al di fuori di quello pratico.
Esposizioni di questo genere sono indice di un grandissimo progresso scientifico, che assottiglia però in misura sempre più consistente il confine tra scienza ed etica: possono i nostri corpi senza vita essere considerati una forma d’arte?