LA FORMA DEL FUMO


2 Giugno 1912

Ormai erano passati già una decina di mesi da quando il regio esercito mi aveva rinviato in patria. Entrai nell’esercito da giovane e non ne uscii più fino alla guerra contro gli Ottomani. Quando i primi battaglioni italiani sbarcarono in Africa, mi trovavo in prima linea e avevo 29 anni e circa 10 anni di esperienza come soldato. Laggiù, mi guadagnai il soprannome di vipera dei deserti distinguendomi come cecchino, fino all’agosto 1912, quando a causa di un serio incidente la mia carriera subì un brusco arresto. Le mie ferite erano gravi e nonostante mi fossi ripreso non potevo tornare in guerra. Fin da giovane quello delle armi era l’unico mondo che conoscevo e avrei fatto di tutto per restarci, così riuscii a trovare un accordo con i miei superiori…

Mentre ripensavo a queste cose camminavo come era mio solito fare per CittĂ  Alta. Erano circa le undici di mattina, il cielo era sereno e le strade fin troppo vuote. Mi stavo riposando un attimo, osservando la folla che usciva dal duomo dopo la messa, quando vidi apparire il vice commissario Locatelli che correva verso di me con fare agitato. 

”Commissario, commissario è un’ora che la cerco, è appena avvenuta una tragedia!”, 

“Si calmi vice e mi spieghi cosa è successo”, 

“si tratta del Suardi, commissario, gli hanno fatto saltare la crapa poco fa! venga a vedere”. 

Incuriosito da quella affermazione mi accinsi a seguirlo, era tempo che non succedeva niente di interessante in città. Percorremmo le vie della cittadella fino ad arrivare davanti ad una generica costruzione di origine medioevale, dalla finestra della quale colavano ancora delle gocce di sangue fresco. Attorno all’abitazione si era formata una folla di curiosi, mentre un paio di gendarmi davanti al pesante portone di legno controllavano l’ingresso. Entrammo, salimmo le ripide scale di pietra e una volta al secondo piano varcammo una vecchia porta che dava sulla stanza dove era avvenuto il misfatto.

 Questa era ampia e spoglia. Al centro si trovava un tavolo in legno tondo con quattro sedie alla stessa distanza l’una dall’altra. Sopra al tavolino vi erano tre sigari nuovi e uno mezzo utilizzato, posizionati in corrispondenza di ogni posto a sedere, quasi come se fossero stati messi lì in attesa dell’arrivo di qualcuno. Dall’altro lato della stanza un uomo ben vestito giaceva con la testa, nel quale si trovava un enorme buco, sulla traversa della grande finestra. Era uno spettacolo raccapricciante, anche per me che dovrei essere abituato a vedere la morte in faccia. Iniziai a chiedere maggiori dettagli a Locatelli:

”cosa sappiamo?”,

“si chiamava Giorgio Suardi ed era un politico intenzionato a riforma..” 

lo interruppi, 

“vice commissario, non mi interessa sapere cosa pensava questo “politicante”, mi preme conoscere i dettagli dell’omicidio, grazie”, 

Locatelli mi fissò garbato, poi continuò,

“Era sposato da quattro anni e viste le ferite fresche è probabilmente morto da non piĂą di un ora”. 

Finalmente avevo per le mani un caso per cui valeva la pena perdere tempo, ma per ispezionare a fondo avevo bisogno di quiete, così inviai il sottufficiale ad interrogare la moglie del defunto e feci chiudere la porta e la finestra. Appena fui solo mi mossi verso il morto e con una mano gli sollevai la testa mentre con l’altra gli pulii il volto dal rosso sangue, fino a scoprire un volto spaventato, ma qualcosa non mi quadrava. Per la stanza non vi era traccia di alcuna arma da fuoco, quindi il suicidio era da escludere. Vista la posizione vicino alla finestra potevano avergli sparato da fuori, dopotutto gli edifici in questa zona sono molti vicini tra loro e ciò non avrebbe richiesto grandi doti da tiratore. Lasciai la testa del morto che cadde a terra, poi mi voltai per osservare meglio il tavolino che mi avrebbe di sicuro fornito maggiori informazioni. Molte domande mi attanagliavano:” cosa ci faceva un personaggio del suo calibro in un luogo del genere? Cosa rappresentavano i sigari?”I dubbi erano ancora troppi e le ipotesi troppo poche.