Quando Platone scrisse La Repubblica, la politica fioriva e prosperava come la maggiore delle arti pratiche. I Greci delle poleis e i Latini della Res Publica vedevano in essa la massima espressione della partecipazione del cittadino alla vita pubblica, dell’amore e della cura per la comunità: un dovere morale e un’alta responsabilità civica, perché l’uomo, come scrive Aristotele, è anzitutto un animale politico.
Dall’ideale di una nobile arte, al bieco disprezzo odierno, condito dall’ostentazione di una fiera apoliticità: diverse sono le ragioni della crisi politica del nostro tempo.
In Italia, dalla fine degli anni ’70, parallelamente ad un crescendo del Pil, si osserva una deflessione dell’affluenza alle urne, che scivola progressivamente dal 93% del ’79 al 65% dello scorso 25 settembre.
La stagione dei grandi movimenti di protesta a poco a poco si sopisce. Lo scandalo di Mani Pulite scardina un sistema partitico pluridecennale, ramificato in ogni aspetto della vita sociale.
Cresce un senso di amara sfiducia e frustrazione nei cittadini, che apre le porte alle prime forme di moderno populismo, in un proliferare di sedicenti partiti anti-sistema.
La politica diventa perciò u-topica, priva di un luogo in cui venga realmente vissuta. Come risultato, la coscienza civica e la partecipazione attiva alla democrazia subiscono un tracollo, senza che le istituzioni compiano concreti tentativi per rilanciarle, specie tra i giovani.
La scuola, da questo punto di vista, diventa il tragico emblema di una crisi tuttora in atto. Dimessi gli abiti sessantottini, le si impongono quelli di una asettica neutralità politica, con il rischio però di inculcare nelle nostre menti il germe di una apoliticità dalle infauste, latenti conseguenze, capace di soffocare sul nascere quei primi entusiasmi e interessamenti politici che spesso proprio dal prolifico confronto tra compagni di studi vedono una prima luce.
Imponendo l’idea che la politica sia qualcosa di distante e precluso e impedendo la presenza di spazi di esplicito dibattito politico non si fa altro che rendere più difficoltosa la maturazione di una coscienza politica: studiamo la Costituzione; celebriamo importanti ricorrenze; dibattiamo su tematiche d’attualità. Ma questo è inutile se è assente la consapevolezza della natura politica di tali azioni.
Tutto ciò fa sorridere, perché dopotutto il mito di una scuola apolitica non è mai esistito…
Studiare gli scritti e i pensieri di autori e filosofi significa lasciarsi ispirare dal loro senso civico e confrontarsi con i problemi, anche politici, del loro tempo.
La Storia, magistra vitae, ci invita a ragionare sul passato, sulle sue storture e sui suoi errori politici e a scorgere nel presente i segni dei tempi che furono.
E come si può studiare Fisica senza pensare al profondo senso di Libertà insito nella Scienza?
Nulla sembra poter essere etichettato come politico, eppure tutto ha radici e risvolti politici.
E così protestiamo per la crisi climatica, rivendichiamo diritti civili e ci affliggiamo per il nostro futuro, per un mondo del lavoro più che mai nebuloso, ma lo facciamo, spesso, senza renderci conto che si tratta essenzialmente di questioni politiche.
Non è vero che i giovani non hanno interessi politici!
Piuttosto persiste, da parte di certe alte istituzioni scolastiche e politiche, un’ingiustificata ritrosia, un inestinguibile tabù, quello di lasciare i giovani liberi di affrontare dibattiti politici, anche e soprattutto a scuola, luogo di educazione e maturazione del giovane cittadino.
Apriamo gli occhi: ciò che studiamo, ciò che viviamo ogni giorno solleva questioni politiche.
I temi che ci stanno a cuore sono temi politici.
Il nostro futuro è un problema politico.
Occorre perciò essere consapevoli della natura politica delle cose.
E per recuperare il senso e la coscienza civile della Politica è necessario anche partire dalla scuola.
Non una scuola intrisa di mera propaganda partitica.
Ma una scuola che sia luogo di democratico e libero confronto su questioni più che mai politiche.